domenica 18 dicembre 2022

LEONARDO E UN'OMBRA, TRA SALUZZO E REVELLO

Qualche tempo fa avevo scritto un articolo un po' diverso dal solito. Ero partita da un romanzo, ambientato in parte a Saluzzo, per arrivare a visitare alcuni luoghi del centro storico in cui i protagonisti si trovavano a passare. 
Voglio provare a rifare qualcosa di simile, anche se stavolta non si tratta di un romanzo, ma di ben due saggi riguardanti Saluzzo e dintorni. 
Chi abita in zona ed è un minimo interessato alla storia del luogo ha già di sicuro letto molto, i testi non mancano di certo, tra libri di storia, di arte, guide turistiche. Eppure c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare e su cui riflettere. Ed è quello che ha fatto Franco Giletta, professore, artista, scrittore e profondo conoscitore del territorio in cui vive (e non solo). 
I due libri di cui vi ho parlato si intitolano "La tavolozza di Leonardo" e "L'ombra della Torre di Saluzzo", entrambi editi da Fusta. Sono scritti in modo semplice, comprensibile anche a chi non è tanto pratico dell'argomento, e questo è un grande valore aggiunto. La lettura di questi libri può portare tutti a visitare Saluzzo e dintorni con occhi diversi.


Ma entriamo nel vivo dell'argomento. Un po' tutti abbiamo sentito parlare del famoso scritto di Leonardo in cui vengono nominati il Mombracco, la certosa e una tavoletta di pietra che gli è stata donata dall'amico scultore Benedetto Briosco. Tavoletta che, dal 1511 (data dello scritto), Leonardo utilizzerà per i colori dei suoi lavori.

La certosa di cui si parla nel suo scritto è quella della Trappa, ne avevo già parlato in un articolo precedente (lo trovate qui). E la nomina in modo talmente preciso che viene da pensare che il grande Leonardo sia stato nelle nostre zone (la Trappa non è certo Staffarda, conosciuta anche fuori Piemonte, eppure lui la cita come se la conoscesse bene), anche se non abbiamo documenti certi al riguardo. 
Quello che il libro di  Giletta ci fa notare è che, in un modo o in un altro, Leonardo "spunta" qua e là nel Marchesato. Vediamo dove.

La certosa della Trappa, Barge

Leonardo avrebbe potuto ad esempio visitare Staffarda; non era soltanto un pittore ma anche ingegnere e avrebbe potuto essere incuriosito dai lavori di bonifica attorno all'abbazia, all'interno della quale erano poi presenti ben due dipinti di un allievo di Leonardo, il  Giampietrino, ora custoditi a Torino. 

Rimanendo a Revello possiamo (e dobbiamo) senz'altro visitare la Cappella Marchionale, all'interno del palazzo che fu residenza estiva della marchesa Margherita de Foix, donna di grandissima cultura che conobbe anche il famosissimo Cenacolo di Leonardo. E, guarda caso, nella cappella revellese si trova una delle prime otto copie più importanti dell'Ultima Cena. E non è tutto: se osserviamo bene gli apostoli revellesi ci sembrerà di essere osservati. Uno di loro infatti, a differenza di tutti gli altri, guarda verso lo spettatore, e la sua figura si presenta con una lunga barba e lunghi capelli bianchi. E, come se non bastasse, è anche mancino, come Leonardo. Chiaramente non è lui l'autore di questo cenacolo, ma chi ha dipinto potrebbe aver voluto omaggiare il Genio, scomparso nel 1519, l'anno in cui l'affresco è stato concluso. 

La cappella marchionale. Revello

Spostiamoci a Saluzzo, davanti al Duomo, e osserviamo la facciata. Sui lati del portone principale vi sono due statue in terracotta, opera della scuola di Briosco (vi ricordate? L'amico di Leonardo). Guardiamo bene quella di destra, che raffigura San Paolo. Non è forse nuovamente un uomo con lunghi capelli e barba? Franco Giletta ha accostato il viso di questa statua con l'autoritratto di Leonardo (che, vi ricordo, si trova a Torino presso la Biblioteca Reale, e a volte viene esposto, segnatelo tra le cose da vedere, se non l'avete ancora fatto). Cosa ne è uscito? Lo si vede già sulla copertina del libro, sembrano la stessa persona, le due parti del viso combaciano in modo straordinario. Sapete a che anno risale questa terracotta? Al 1511, proprio l'anno dello scritto di Leonardo da cui siamo partiti. Potrebbe quindi essere il suo primo ritratto scultoreo, ci pensate? A Saluzzo. C'è di che essere meravigliati, senza dubbio.

Il portale del Duomo di  Saluzzo

Il secondo libro di Giletta "L'ombra della Torre di Saluzzo", ci porta invece nel centro storico, tra la chiesa di San Giovanni e la Torre Civica
Un po' tutti siamo abituati a viaggiare per turismo durante la bella stagione, il tepore, le giornate lunghe, molta luce. Sì, certo, ma che ne dite di fare un giro nel centro storico di Saluzzo tra il solstizio d'inverno (il 21 dicembre) e l'Epifania? Come dite? Fa freddo? Fa niente, voi andateci lo stesso, di mattina, all'incirca verso le 11, in un bel giorno soleggiato, col cielo limpido. Anzi, andate un po' prima delle 11, sistematevi nella piazzetta antistante la chiesa, o anche all'incrocio tra Salita al Castello e via S. Giovanni. Ora guardate attentamente il campanile della chiesa. Vedrete salire l'ombra della torre civica, poco alla volta, fino a sovrapporsi esattamente sul campanile. Altra meraviglia, scoperta per caso da Giletta qualche anno fa e poi studiata nei dettagli.
Il potere temporale del marchesato, rappresentato dalla torre civica, sembra abbracciare il potere spirituale in una maniera unica; questo perchè i due edifici sono sfalsati di 45° e l'ombra risulta quindi tridimensionale. E, se scattate una foto, provate a volgerla in negativo: l'effetto è ancora più straordinario, l'ombra della torre sembra quasi una struttura interna al campanile. L'evento si ripete da oltre 500 anni ma non è mai stato notato finora proprio perchè dura pochissimo, succede soltanto una volta l'anno e si vede solo dal punto che vi ho descritto prima.

L'ombra della Torre civica sul campanile
di San Giovanni

Il libro riflette su questo evento, simile ad altri in Italia e nel mondo ma non solo, ci sono approfondimenti su altri edifici del luogo, che dovete visitare sicuramente, come Casa Cavassa, il museo civico saluzzese o l'interno della stessa chiesa di S. Giovanni (in cui ci sono collegamenti anche col primo libro di cui vi ho parlato). Ed è anche possibile salire sulla Torre Civica, per avere una visuale più ampia non solo del centro storico ma anche della pianura. Come sempre nei miei articoli non sto a farvi la storia e la descrizione di ogni edificio,   perchè sono molto conosciuti ed esistono numerose pubblicazioni al riguardo, ma ho voluto darvi nuovi spunti di visita.

Concludo con una curiosità. Prima vi ho parlato di Margherita de Foix e Revello. La marchesa era francese ed è sepolta a Castres. Non lontano da Castres c'è un paese che si chiama Revel. E, se adesso cercate di raggiungere Castres in auto, le mappe di internet vi fanno passare dal Colle della Maddalena. Scendendo in Francia, poco dopo Barcellonette, troverete un altro comune che si chiama Méolans-Revel. Coincidenze? Chissà ...

Il palazzo marchionale di Revello con,
a destra, la torre in cui si trova la cappella.

Non vi resta che leggere i due libri e visitare Saluzzo e dintorni, oppure, se ci siete già stati, tornare a visitarla soffermandovi su aspetti che, a prima vista, passano inosservati, pur essendo davanti ai nostri occhi, e invece sono importanti per approfondire la conoscenza del luogo in cui ci troviamo.

domenica 6 novembre 2022

TRACCE DI NOBILTA' (E NON SOLO) IN VALLE GRANA

La Valgrana è una vallata molto conosciuta soprattutto per Castelmagno (santuario e formaggio), per la sua bellissima natura, che si può esplorare su vari sentieri in tutto il territorio. Io vi avevo già parlato dei pupazzi della frazione S. Pietro di Monterosso (qui il link all'articolo), che vogliono ricordare la vita di un tempo della zona.

L'ospizio della Trinità di  Valgrana

Come sempre, voglio invece farvi scoprire un altro lato della vallata, quello un po' più nascosto e, in questo caso, nobile, con l'aggiunta di qualche chiesetta o edificio poco conosciuto ma molto interessante. Sì perché nei vari comuni sono presenti anche alcuni castelli, in quanto la vallata era feudo dei marchesi di Saluzzo e veniva amministrata da un ramo collaterale degli stessi marchesi, i Monterosso di Valgrana, nati da Eustachio, figlio di Tommaso II di Saluzzo.

Ma partiamo dall'inizio. Il primo paese che si incontra salendo da Caraglio è VALGRANA. Nel centro della località si trova il palazzo dei conti, risalente al XVII secolo, riconoscibile dallo stemma sulla facciata. Pare che all'interno presenti ancora soffitti affrescati e varie decorazioni, ma purtroppo, come spesso succede, non è visitabile.

Lo stemma sulla facciata del palazzo
del conte di Valgrana

Sulla stessa strada del palazzo, ma dal lato opposto, si incontra presto un arco di pietra; lo si oltrepassa e si scopre un edificio non nobile ma comunque rimarchevole. Si tratta dell'Ospizio della Trinità, uno dei pochi edifici rimasti in provincia, che ricordano la loro funzione di ospitalità e assistenza medievale. Si tratta di una casetta su due piani con, al piano terreno, la cucina e al piano superiore le camere (anche questo non è visitabile). Sulla facciata vi sono affreschi attribuiti ai fratelli Biazaci di Busca, databili tra il 1455 e il 1470, raffiguranti la Vergine col Bambino in Trono. La Trinità è rappresentata come tre figure maschili che emergono dal medesimo corpo.

L'ospizio della Trinità

Ritornando in paese, dopo una breve tappa sotto la tettoia davanti al municipio, dove si trovano una postazione di bookcrossing, una fontana sempre utile per rinfrancarsi e un paio di opere d'arte appese al muro, si può ancora osservare, sulla facciata laterale dell'Albergo del Viale, vicino al parcheggio principale, un affresco  del XVIII secolo raffigurante la Sindone. Una breve deviazione in auto sulla strada che sale a Montemale vi porterà invece alla cappella dei Santi Bernardo e Mauro, situata all'incrocio su diverse vie. Decorata da Pietro da Saluzzo, presenta affreschi in buone condizioni raffigurati la Madonna in Trono, gli Evangelisti e l'Annunciazione.

La cappella di S. Bernardo e Mauro

Tornati sulla strada principale della vallata si sale a MONTEROSSO GRANA. Lasciata l'auto nei pressi del comune (davanti al quale troverete una panchina con un cuore rosso, per scattare una foto ricordo tra innamorati), si prende la via che porta verso la collina e qui sembra subito di entrare in un'altra epoca. Dopo uno spiazzo con antichi edifici e varie decorazioni che sembrano opere d'arte, si trova il ponte a un'arcata. L'occhio va subito al castello, oltre il fiume, ma anche alla torre sulla collina. Essendo abituata che in genere sulle colline ci sono i ruderi dei castelli, ho sempre pensato che questo discorso valesse anche in questo caso. E invece ho dovuto ricredermi e scoprire come stanno realmente le cose.

La torre sulla collina

La torre è in realtà quel che rimane di un'antica fortificazione del IX-X secolo, mentre il castello è l'edificio più in basso, con tanto di merli, arco, portale in legno ecc. E' stato costruito tra il XIV e il XV secolo sui resti di un edificio più antico dal marchese di Saluzzo Federico il quale lo infeuda, come vi ho raccontato all'inizio, ai Monterosso di Valgrana.

Il castello oltre il fiume

L'edificio è diventato una dimora signorile nel XVII secolo e, come sempre, purtroppo, non è visitabile, in quanto di proprietà privata. Però ci si può arrivare davanti, perché l'arco di accesso è comunale e riporta ancora, oltre a uno stemma, un vago cenno di pittura nella parte interna; era un affresco di Giors Boneto di Paesana, ormai quasi totalmente scomparso.

Una particolarità è data dal campanile che si trova lì vicino al castello, dato che presenta un muro che lascia pensare a un ulteriore edificio. Si tratta infatti del campanile della chiesa di  S. Giuseppe, abbattuta negli anni '50 perché pericolante.

Ultimo paese della vallata che presenta un castello antico è PRADLEVES. Lo si trova all'imbocco del paese, ora trasformato in albergo e quindi sicuramente trasformato rispetto all'originale; ricorda comunque un passato nobile e risale al XIII secolo.

Con queste poche informazioni spero comunque di avervi dato una nuova visuale della vallata e di avervi invogliato ad andare a ricercare anche la storia dei luoghi, oltre che la natura. 

venerdì 26 agosto 2022

UNA CERTOSA E UNA PANCHINA

Questa volta vi porto in Valle Pesio, molto conosciuta per sentieri e particolarità in ambito natura, ma anche per la Certosa di Pesio, un complesso ricco di arte e di storia nonché, ovviamente, di spiritualità. Ma non solo, andremo molto più indietro nel tempo, fino all'età del bronzo, per poi fare una bella pausa su una panchina gigante. Partiamo subito.

Vi avevo già parlato dei monaci certosini nell'articolo riguardante il castello di Casotto, sempre nel monregalese (qui l'articolo) e in quello relativo alla Trappa di Barge (se volete rileggerlo o se ve lo siete perso cliccate qui). La certosa di Chiusa Pesio (il comune che la ospita) è stata fondata nel 1173, anche se i monaci erano presenti in zona già prima, presso l'attuale Correria, sul lato opposto rispetto all'attuale complesso. La Correria diventerà poi la sede dei monaci Conversi e i certosini si trasferiranno nel nuovo edificio. Raccontare qui tutta la storia della Certosa è impossibile, come sempre ne uscirebbe un libro. Basti sapere che, come spesso accade, da un piccolo nucleo col passar del tempo il complesso si ingrandisce, si modifica e, in questo caso, viene poi ridisegnato alla metà del '600 dall'architetto di Casa Savoia Giovenale Boetto.

Uno scorcio del chiostro della certosa

Nel 1802 tutti gli ordini religiosi vengono soppressi dal Governo Napoleonico e la maggior parte di beni, arredi e opere vengono dispersi. Molti arredi e oggetti li possiamo ancora oggi ritrovare in zona, come  ad esempio nella chiesa di Lurisia (gli stalli del coro), nel museo di Vicoforte (un leggio e un reliquiario), nella chiesa di S. Maria di Peveragno (un crocifisso e una vasca battesimale, ve ne avevo parlato qui), eccetera.

Il soffitto affrescato della chiesa più recente

Se il complesso di Casotto è stato trasformato in residenza estiva per i reali sabaudi, la Certosa di Pesio invece è diventata uno stabilimento idroterapico, frequentato dalla nobiltà di tutta Europa, tra cui alcune principesse sabaude, Camillo Benso conte di Cavour e Stendhal. Pensate che vi si potevano ospitare fino a 150 persone. Con la prima guerra mondiale anche lo stabilimento chiuse e rimane in stato di semi abbandono fino al 1934, quando arrivarono i Padri della Consolata che la riportarono in vita, rendendola visitabile tutt'oggi.

La chiesa primitiva della certosa

Attualmente è possibile visitare:
  1. - la sala capitolare
  2. - la chiesa duecentesca, molto essenziale
  3. - un piccolo lapidario, sotto il portico della chiesa antica
  4. - la chiesa nuova, costruita nel 1500 sopra quella antica. Colpisce molto per il fatto che le pareti sono spoglie, mentre la volta è completamente decorata. Gli affreschi sono di Giovanni Claret e risalgono al 1600.
  5. - parte del chiostro ottocentesco, non completamente accessibile in quanto utilizzato anche dalla Casa di Spiritualità che organizza incontri ed eventi religiosi.
  6. - lo scalone monumentale del 1700, di Giovenale Boetto
  7. - in fondo allo scalone a destra si trova l'affresco del 500, staccato da una parete del mulino del monastero e raffigurante la Madonna della Misericordia con i lembi del manto tenuti sollevati da San Giovanni Battista e San Brunone (il fondatore dell'ordine certosino).
  8. nel parco è presente uno degli alberi monumentali del Piemonte, un pino strobo di 200 anni, col fusto di 6 metri di circonferenza e alto circa 50 metri. Pensate che io l'avevo visto da piccola, quando avevo visitato la Certosa in gita scolastica, e non l'ho mai dimenticato. E' veramente maestoso.
Queste le cose principali da vedere ma, come dico sempre io, c'è molto di più e lo scoprirete sul posto, in questo luogo di pace, arte e storia, anche grazie ai cartelli che vi accompagneranno durante la visita.


Lungo la discesa della vallata consiglio anche uno sguardo alla facciata dell'antico mulino, con un dipinto sulla facciata. Si trova sulla destra, subito prima del parcheggio che invece è a sinistra.

Il mulino

La tappa successiva è il piazzale davanti all'antica chiesa di S. Anna, che troverete sulla destra. Parcheggiato qui ci si incammina dal lato opposto, su un sentiero in leggera salita. Si arriva in pochissimo tempo all'Archeopark la Roccarina. In questo luogo è stato ricostruito il settore artigianale risalente all'età del bronzo finale (XII secolo a.C.). Questa era una zona abitata già all'epoca e qui sono stati trovati molti reperti, ora custoditi al Museo Avena, in paese, e quindi la ricostruzione è quanto mai utile per capire come lavorassero e come vivessero all'epoca. Ci sono vari cartelli che vi spiegheranno nei dettagli le varie attività, dalla metallurgia alla lavorazione di argilla e ceramica, fino ad arrivare anche alla cava di calce, molto più recente. I monaci certosini avevano già tentato di crearne una, ma è dal 1890 al 1973 che si ebbe il picco di produzione. 

Un'ambientazione dell'archeopark

Costeggiando l'archeopark si prosegue lungo il bel sentiero nel verde e, arrivati nei pressi di un piccolo pilone votivo, la strada si biforca. Tenendo la destra si arriva, in una decina di minuti nel bosco, alla Grangia del Castellar. Le grange erano gli edifici che servivano ai monaci per organizzare il lavoro agricolo nelle varie aree di loro competenza. Ora il nucleo è in rovina ma si può ancora vedere la disposizione dei vari locali, nonchè il pozzo, sul prato antistante. Essendo il luogo panoramico è stato qui costruito un belvedere, con panchine e postazioni da cui potete ammirare il verde della valle ma anche il paese, addirittura con i ruderi del castello di Chiusa Pesio sul lato opposto della collina.

La Grangia del Castellar

Tornando al bivio di cui  parlavo prima si procede in direzione opposta a quella da cui si è arrivati e, in poco, si arriva a una delle ormai famosissime panchine giganti. Qui finalmente ci si può riposare e magari iniziare a pensare a possibili gite future in zona.


Come sempre spero di avervi incuriositi e vi lascio il link della Certosa e quello delle Aree Protette Alpi Marittime, sul quale potrete rimanere aggiornati anche sugli eventi che si organizzano all'Archeopark, e anche scoprire molte  altre informazioni sulla zona.

lunedì 18 luglio 2022

PEVERAGNO

Peveragno, secondo me, è uno dei tanti paesi sottovalutati della nostra provincia. Molto conosciuta per la fragola, con tanto di sagra e miss, abbastanza conosciuta ormai per una delle famosissime panchine giganti che sbucano come funghi, ma quanti si sono soffermati sul centro storico? Io stessa ammetto di conoscerlo pochissimo e infatti, quando ci sono stata, sono rimasta stupefatta da quante particolarità ci fossero da vedere per vie e stradine del centro. Ma, come sempre, partiamo dall'inizio.

La chiesa di S. Giorgio, sulla collina

Peveragno è un bel paesino situato tra Cuneo e Mondovì, ai piedi del monte Bisalta. E' nominato per la prima volta nel 1299 nella forma di Piperanium, dalla famiglia morozzese dei Pipa, che dominava molti territori in zona. Ma la storia del luogo è molto più antica. Parte da un luogo che si chiamava Forfice, che era il primissimo insediamento del comune, situato verso l'attuale frazione Madonna dei Boschi. Ormai del borgo non rimane praticamente più nulla, anche se esiste ancora la chiesa di S. Pietro in Forfice; a un certo punto gli abitanti hanno deciso di trasferirsi nel nuovo borgo, che cresce e diventa l'attuale comune. 

Uno scorcio di via Giordana di Clans

Per visitare il paese io ho parcheggiato nella piazza principale, quella del comune, il cui nome ufficiale è Piazza Toselli, poi vi racconto chi è stato quest'uomo. A piedi attraversate Via Roma e infilatevi in Via Giordana di Clans, per immergervi subito nella parte più antica. Vi accoglierà un murales raffigurante una piantina del 1857, poi vedrete insegne dei negozi dipinte sui muri, meridiane e antiche botteghe. A un certo punto arriverete a un'antica casa medievale, con gli archi in mattoni e i portici bassi (ps. alzate gli occhi, guardate l'affresco di una principessa e continuate a leggere per scoprire chi era). E poi un piccolo pozzo, che veniva usato da tutti gli abitanti del borgo. Successivamente si trova la Confraternita, molto probabilmente progettata da Francesco Gallo di Mondovì e attualmente usata per mostre ed eventi. 

L'arco del ricetto

Si passa poi sotto l'antico arco del ricetto, l'unica porta di accesso al paese rimasta. Si intravedono ancora resti di affreschi con iscrizioni in latino, una delle quali risale ai tempi in cui Amedeo VIII di Savoia incorporò Peveragno nei suoi domini, nel 1419.

Piazza Carboneri

Oltre l'arco si trova Piazza Carboneri con una fontana (ne esisteva una già moltissimi anni fa anche se questa è più recente) e, in fondo, altri edifici porticati con murales che raccontano frammenti di storia locale.

La casa natale di Pietro Toselli

Proseguendo per via Abate si incontra, sulla sinistra, la casa natale di Pietro Toselli, maggiore caduto eroicamente all'Amba Alagi nel 1895 (il cui monumento, di Ximenes, si trova nella piazza in cui avete parcheggiato).

Stemma dei Campana, in piazza Santa Maria

Si arriva infine in Piazza Santa Maria, in cui conviene sostare un momento. Subito di fronte a voi c'è un'antica casa del XV secolo, con un piccolo portico che ora ospita un bar. Era casa Campana e, sul pilastro angolare in pietra, si notano ancora le effigi di un cavaliere e lo stemma della famiglia, con appunto raffigurate delle campane. In più potrete cercare una cosa che io ho scoperto esistere soltanto dopo essere stata in paese, e cioè un'effige sul pilastro di una casa raffigurante una forbice, ricordo dell'originario borgo di Forfice (chiamato così perchè situato alla biforcazione tra due vallette).

La statua di Vittorio Bersezio

Nella stessa piazza si trovano anche la chiesa di S. Maria del Paschero (dentro la quale si trovano una croce di marmo e una vasca battesimale provenienti dalla Certosa di Pesio) e, a lato, la statua di  Vittorio Bersezio. Commediografo, autore della commedia dialettale "Le miserie 'd Monsù Travet", è qui ricordato in quest'opera di Bistolfi.

Procedendo per via Marconi si arriva in Piazza XXX Martiri, che vuole ricordare 30 peveragnesi morti durante una rappresaglia nazista nel 1944. 

Murales in via Roma

La passeggiata prosegue lungo Via Roma, la via principale del paese, costellata di murales che ricordano le antiche botteghe del luogo e altre caratteristiche storiche che vi accompagnano fino al punto di partenza, Piazza Toselli. Se girate attorno all'edificio comunale vedrete, nel cortile retrostante lo stesso, un pezzo di muro: era parte della porta Pusterla, una delle porte di accesso al paese.

Resti di porta Pusterla

Come sempre, io vi ho dato delle indicazioni e non vi ho di certo raccontato tutto; ma sappiate che, passeggiando comodamente, potrete scoprire molto altro sul paese, grazie anche agli ottimi cartelli turistici sparsi ovunque, che non mancheranno di raccontarvi altre storie.

Terminata la visita al centro ci si può dirigere verso la collina di S. Giorgio (se volete c'è un parcheggio comodo davanti a un supermercato di un noto marchio). La camminata non è lunga e si arriva alla panchina gigante, una delle prime sorte in provincia e, mi pare, l'unica con una specie di meridiana solare raffigurata dietro la panchina, sul terreno. I raggi del sole passano attraverso un cuore intagliato sullo schienale della panchina e raggiungono il quadrante. Per saperne di più non vi resta che salire e leggere la spiegazione completa.

Il cuore della panchina gigante

Ma, la cosa che più mi ha sorpresa quando sono salita sulla collina, è un edificio che per me è stato assolutamente inaspettato, non avevo idea della sua esistenza. E' la cappella di San Giorgio, molto molto antica. Fu infatti, ben probabilmente, fatta costruita dai trasfughi di  Forfice che, arrivati nella nuova zona di residenza, volevano un edificio a protezione del nuovo borgo. Risale quindi circa al XII secolo. Al suo interno c'erano molti affreschi, raffiguranti San Giorgio che sconfigge il drago e libera la principessa. Parte dell'affresco è stata rubata a inizio degli anni '90 ma, vi ricordate l'affresco della principessa che vi ho nominato a inizio articolo? Proprio lei, era l'affresco della chiesa di S. Giorgio, riprodotto nel borgo antico grazie a un peveragnese.

La facciata della chiesa di S. Giorgio

La chiesa è anche conosciuta dagli amanti dell'archeo-astronomia in quanto, nel giorno del solstizio invernale, il sole illumina per due volte i dipinti attraverso le finestre. Ma non è tutto qui. E il campanile? Così "strano"? Non vogliamo parlarne? E proprio questo l'inaspettato che mi ha stupita così tanto: un campanile a forma di minareto (più unico che raro, penso, in provincia), in ricordo di Mario Lago, peveragnese Governatore di Rodi e del Peloponneso dal 1922 al 1936. Pensate che, nell'isola di Rodi, fu fondata una colonia chiamata Peveragno Rodio. Come dite? Ci volete andare? Beh, sappiate che la colonia ora è quasi tutta occupata da edifici militari, quindi non accessibile, ma alcune parti sono quanto meno avvicinabili, come la chiesa, mentre altre strutture agricole sono ora usate come punto vendita per prodotti locali. E' sempre curioso, per me, trovare corrispondenze cuneesi anche al di fuori dell'Italia.

Avete visto quante cose belle ci sono da scoprire in questo bel borgo? Mi raccomando visitatelo e fatemi sapere se vi è piaciuto come a me.

venerdì 1 luglio 2022

NON SOLO LAVANDA

Sale San Giovanni: nel periodo di fioritura della lavanda, cioè adesso, fine giugno, inizio luglio, chiunque parla di questo paese delle Langhe, ovunque si leggono notizie, si vedono foto. I social sono ormai color lavanda. Ma, come dico sempre io, c'è molto di più. 

Il castello

La prima volta che ho visitato il paese, anni fa, è stato durante la domenica di festa, col mercatino, una folla immane, mi è servito per farmi un'idea del posto, ma non è il tipo di giornata che piace a me.
Ho deciso quindi di tornarci, quest'anno, in settimana, al mattino presto (anche se dicono che per fotografare i campi di lavanda sia meglio il momento del tramonto). Anche in questo caso c'era gente, ma era comunque tutto più vivibile e tranquillo.
E, siccome ho visto persone scendere dalla macchina, fiondarsi nei campi, fare un po' di foto e poi ripartire e andare via, ho deciso di scrivere questo articolo per far capire che può essere interessante anche fare un giro nel piccolo ma caratteristico borgo.

Dal 1948, il comune è autonomo, prima era unito a Sale Langhe, che si attraversa arrivando da Ceva per arrivare ai campi di lavanda. Il nome potrebbe derivare dall'antica tribù dei Salluvii e la zona era abitata già all'epoca dei romani, come da ritrovamenti di lapidi che ora sono collocate nella chiesa parrocchiale.

Ci troviamo su un bel luogo panoramico (non per niente quando era unito a  Sale Langhe questa era una frazione di nome Bricco), a circa 600 metri di altitudine; ovunque si guardi si vedono colline, campi fioriti, e anche il treno, che non passa lontano; qui la natura circonda veramente tutto il paese.

Una volta parcheggiato nello spiazzo vicino al cimitero si può vedere subito la pieve di S. Giovanni, che fino al 1380 era la parrocchiale. Questa chiesa risale al 1000 ed è  stata costruita su un antico tempio pagano. Ora è inglobata nel cimitero e, sulle pareti esterne, si vedono antiche lapidi che ricordano chi ha abitato il luogo. L'interno della chiesa presenta affreschi che vanno dal Trecento al Seicento. La chiesa è visitabile, nel periodo di fioritura della lavanda, nei weekend. Più avanti vi lascerò tutte le info.

La pieve di San Giovanni

Dopodichè si può passeggiare lungo la stradina che porta nel centro vero e proprio del paese. Si incontra la chiesa di San Sebastiano, costruita come ringraziamento per la fine della pestilenza del 1350. Le pitture, restaurate nel 2000, raffigurano la Morte, che non risparmia nessuno.

Gli affreschi della chiesa di S. Sebastiano


Passando sotto a un arco si arriva nella piazzetta, dominata dal castello dei marchesi Incisa di Camerana. Di origine medievale è stato ristrutturato in varie epoche diverse; la forma attuale risale al 1800; ho sempre trovato caratteristico il portone di accesso, in forme ogivali. A differenza di quanto indicato online, il castello è privato e non visitabile.

Il portale del castello

Nella piazzetta c'è anche l'attuale chiesa parrocchiale di San Giovanni, riedificata sulla medievale chiesa di San Siro. 
Sulla sinistra il viottolo inizia a scendere e, sulla parete laterale della chiesa, c'è una bella meridiana. Si passa poi sotto a un portico, dove un cartello ci fa capire che un tempo qui c'era la scuola comunale. 

La scuola sotto il portico

Terminata la passeggiata vi lascio qualche informazione sulla lavanda: ci sono diversi percorsi, da fare a piedi, per avvicinarsi ai campi (anche di altre piante officinali), alcuni più lunghi e impegnativi, altri più brevi e comodi. Le strade infatti sono chiuse al traffico, durante i mesi di giugno e luglio. Nei weekend, con un contributo di 2 euro, potrete avere in cambio la visita guidata della pieve di San Giovanni e della chiesa di Sant'Anastasia (di cui non vi ho parlato perchè è fuori paese e non ci sono andata). Vi lascio il link al sito su cui potrete trovare tutte le informazioni che cercate, e anche molto di più. 

domenica 12 giugno 2022

BELLINO: BORGATE CHIESA E FONTANILE

Di Bellino vi avevo già parlato qui: è un comune della Varaita composto da dieci borgate. Nell'altro articolo avevo descritto le frazioni S. Anna, Chiazale e Celle. Stavolta invece mi fermerò prima, salendo la vallata, in due borgate sicuramente meritevoli di una visita.

Borgata Chiesa: qui potete lasciare l'auto e immergervi in un'atmosfera antica, quella di un luogo che esisteva già nel 1329, col nome di Villa Ecclesiam. Provate a lasciarvi alle spalle i giorni nostri, appena vi inoltrate nel vicolo principale; provate a immaginare come poteva essere una volta: i bambini che uscivano da scuola, le donne che andavano a Messa, chi si accingeva a sistemare la legna sotto i portici, chi andava al forno, chi puliva i panni al lavatoio, chi andava all'osteria dopo una giornata di lavoro eccetera. Vi sembra impossibile? Eppure qui c'era tutto questo e molto di più: c'erano forni, case di riposo di mutua fratellanza, artigiani di vario genere ...

Tutto questo lo potete leggere negli edifici, sulle pareti delle case, sui portoni di legno decorato, sulle rampe che servivano per raggiungere i fienili, sopra le case. 

Sulle pareti delle case troverete le famose têtes coupées celtiche, troverete le meridiane del circuito "Bellino solare", di cui vi avevo già parlato; dietro la chiesa sono murate una figura quadrupede e un'altra "faccia", curiosamente capovolta. All'interno del cimitero vi è una colonna decorata molto particolare. E' sormontata da una croce che ricorda la valanga del 1872, passata vicinissima alla chiesa, che provocò vari danni. Il capitello della colonna, posizionato anch'esso capovolto, proviene dalla chiesa romanica e raffigura su due lati la Vergine Maria col Bambino e Maria di  Magdala.

Dovete sapere inoltre che la chiesa è stata costruita su un antico edificio precristiano, forse dedicato al dio Belenus. L'edificio originario era romanico ma è stato modificato in tempi successivi. Il campanile è in stile romanico lombardo del XIV secolo, con bifore, e svetta su tutta la borgata. Come molte chiese venne trasformata in tempio calvinista nel 1578 e poi riconsacrata alcuni decenni dopo, modificandone anche l'orientamento. E' attualmente intitolata a S. Giacomo e posta sul cammino per  Santiago de Compostela. 

Dopo questa piccola parentesi storico-artistica si può proseguire la visita lungo i vicoli della frazione, per poi ritornare al punto di partenza, il parcheggio. Di qui, sempre a piedi, potete attraversare il ponte e raggiungere la borgata Fontanile.


Prima di raggiungerla, sulla sinistra, troverete un enorme masso spaccato in due. Si chiama "Peiro Ciastel" e, secondo la tradizione, da qui nascevano i bambini. Curioso, vero?

Fontanile, lo si capisce subito, prende il nome da risorgive e fontane che in passato si trovavano in zona. Anche oggi, poco prima delle case, sulla sinistra, noterete una piccola fonte, detta "Evont la rato". 

Anche questa è una borgata già esistente nel 1329; ho notato, cercando online, che è molto poco conosciuta, quando invece secondo me merita sicuramente di farci due passi. Anche qui verrete accolti da un'atmosfera antica, magari con l'odore del fumo delle stufe, del legno, un cane che vi accompagna lungo la breve via principale, fino ad arrivare a uno slargo in cui si trovano il forno comunitario e il lavatoio. E anche qui non viene difficile immaginare come fosse la vita di un tempo, sembra quasi di sentir parlare gli abitanti del luogo, in occitano. Forse racconteranno della giornata di lavoro ai forni di calce, presenti vicino al torrente Varaita, oppure a uno dei tanti mulini presenti in zona, o anche alla cava di pietre, attiva fino al 1940.


Qui era anche conservato l'archivio comunale, a casa del segretario, che risiedeva in una di queste case, che spesso riportano i nomi dei proprietari, le date di nascita o di ristrutturazione. Non esisteva invece una cappella, data la vicinanza con borgata Chiesa. C'è però un pilone, ex voto di due famiglie locali. 

Uno scorcio che ho trovato molto caratteristico è un sottopassaggio in pietra, con tanto di riserva di legna, buca delle lettere e una piccola porticina. Lo percorro e sbuco in un altro piccolo slargo con una bellissima casetta dipinta in colori pastello, ristrutturata in varie epoche diverse, dal 1700 in poi.

Molte delle informazioni che vi ho qui riportato le ho lette sui pannelli che ho trovato nelle due borgate. Ottima idea, da parte del comune, visto che online non si trovano molte notizie di questi luoghi.

domenica 6 marzo 2022

UNA BORGATA SOMMERSA E UNA DIGA

 "C'era una volta ..." Sì, stavolta è proprio il caso di iniziare così l'articolo, perchè c'era una volta, fin dal XIV secolo, una borgata incastonata tra i monti, col suo bravo torrentello, la chiesa, il cimitero, il forno, la fontana, le casette in pietra e legno, i fienili e le stalle. Ancora oggi ce ne sono molte di borgate così, ma questa non c'è più. Un lago l'ha sommersa, ormai molti anni fa.

I ruderi del campanile della borgata sommersa

Ci troviamo in Valle Varaita, a Pontechianale, luogo conosciutissimo di villeggiatura estiva e invernale, dove si trova appunto la diga che, nel 1942, ha sommerso la Borgata Chiesa, una delle frazioni che componevano il comune.

Partiamo dall'inizio. Attualmente, arrivando a Pontechianale, la prima frazione che si incontra è Castello, piccolina e raccolta: si passa davanti alla chiesetta e, subito dopo, la vista si apre sul lago, su quegli 11 milioni d'acqua trattenuti da una diga alta 70 metri. Già qui si può fermare l'auto, ammirare il panorama, passare anche sopra la diga e oltrepassare il lago, andando verso i boschi e scoprendo una passeggiata che, in un'oretta, lo costeggia tutto, fino al centro del paese per poi tornare a Castello.

Il lago visto da oltre la diga, verso il bosco

Ma, come dicevamo prima, dove ora c'è il lago, una volta c'era una borgata. E qui bisogna partire con la fantasia, provare a immaginare come fosse il luogo prima degli anni 40, quando non c'era ancora l'acqua, ma c'erano le case, c'erano le persone che lavoravano, che chiacchieravano, le donne che magari filavano al sole sull'uscio di casa, vestite con i loro abiti tradizionali, e la vita scorreva tranquilla.

In realtà tutta la zona era interessante: una leggenda parlava addirittura di un tesoro sepolto, ed esisteva una caverna abitata da pipistrelli.

Altri ruderi che emergono dal lago con la siccità

Un bel giorno però si decide di costruire una diga e il paese viene smantellato: niente più vita tranquilla vicino al torrente Varaita, niente più fontana, niente più chiesa, niente più mulino, niente di niente. Cosa rimane di tutto questo? La ghiera del portale della chiesa, in marmo bianco con capitelli scolpiti raffiguranti teste umane e animalesche, è stata "montata" sull'attuale chiesa di S. Pietro in Vincoli nel centro di Pontechianale. E anche l'intitolazione della chiesa è la stessa di quella della borgata sommersa.

Il porta della chiesa di S. Pietro a Pontechianale

Rimangono fotografie che si possono trovare online e, di recente, anche su molti pannelli posizionati lungo tutto il percorso del lago; sono un documento importantissimo, proprio per capire com'era fatto il borgo (su uno dei pannelli c'è anche la cartina), per capire cosa rimane degli edifici durante i vari decenni. C'è anche un bel libro che parla di tutto ciò: si intitola "La vallata sommersa", scritto da Paolo Infossi.

E poi c'è la siccità, che è una brutta bestia, lo sappiamo, ma che ha permesso, in particolar modo in questo periodo, di portare alla luce o, come piace dire a me, di far respirare, i ruderi della frazione. Già alcuni anni fa, in autunno, ero andata a vedere quel che rimaneva, ed ero rimasta impressionata dalle volte in pietra degli edifici, perchè sembravano (e sembrano ancora oggi) occhi emersi dal passato per scrutare i giorni nostri. Quest'anno, però, la siccità è ancora maggiore, il livello dell'acqua è sceso tantissimo, e ha fatto emergere persino quel che resta del campanile della chiesa, che non avevo mai visto in vita mia, se non in foto. 

Gli "occhi" di Borgata Chiesa

Se vi trovate in zona e decidete di "scendere nel lago" fermatevi e guardate queste pietre, questi "occhi", pensate che tutto ciò di solito è sommerso, pensate per un attimo alle persone che hanno abitato qui, a come poteva essere la loro vita quotidiana. Non è una cosa che capita tutti i giorni, fotografate quello che potete, per documentare il più possibile e non perdere la memoria di chi è vissuto prima di noi.